venerdì, marzo 23, 2007

Same Place: more then word

Non è vero che Bard si muove ad una velocità superiore a quella della luce.
Bard resta fermo e fa scrollare lo sfondo.

Prima di continuare nei vaneggiamenti (tratti da therubymine) facciamo il punto della situazione. Nella intro ci siamo detti che, sul web, le trasformazioni sono più di tipo Khuniano che di tipo Darwiniano. Abbiamo poi visto con l'esempio Second Life che forma e sostanza devono essere per forza distinte se non si vuole cadere in similitudini fuorvianti. In ultimo abbiamo detto che Same Place è un'applicazione "Primitiva" e non rivoluzionaria.
Il tutto sempre per cercare di capire cosa sia Same Place e quale sia il suo posto nel Web 2.0.

Nessuno può dire con certezza quale sia un'applicazione web 2.0, possiamo solo trovare degli indizi. Uno dei migliori metodi è cominciare a stabilire che non sia qualcos'altro (web 1.0). Possiamo dirlo per Same Place? Si.
Se fosse web 1.0 Same Place sarebbe più o meno così. Mentre, come avrete visto, le sembianze attuali sono all'incirca le seguenti:

same place rc1Non basta a decretare un web 2.0, ne convengo. Ma Prima di continuare l'altalena tra forma e sostanza cerchiamo di essere multimediali in senso stretto e diamo un'occhiata ai suoni.
I latini dicevano in nomen omen, ovvero: nel nome è scritto il destino. Sembra piuttosto vero nella distinzione degli oggetti del web2.0. L'open source prima e il web 2.0 poi, nascono (e crescono) come condivisione di conoscenza. Ma la conoscenza, tanto più è condivisa all'interno di un gruppo, tanto più crea una barriera all'ingresso che ne limita la condivisione ulteriore. Windows, Word, Excel etc hanno tutti un nome che riconduce allo scopo. Linux, Mozilla, Konqueror no. Non ci si poteva "imbattere" in quegli applicativi, chi li usa sa cosa sta usando senza la mediazione del nome... ma questa è un altra storia. Torniamo a Same Place.

Same Place è figlio di Firefox e come Firefox sta a metà strada tra il vecchio mondo che abbiamo descritto e il nuovo mondo che si sta costruendo.
Prima di arrivare ad essere quello che è SP è potuto nascere perché Firefox nasce con la caratteristica dell'espandibilità (di cui parleremo poi). In un uffico marketing la chiameremmo customizzazione, ma qui le daremo il vero nome: mind sharing. Condivisione di pensieri.

Se così non fosse Same Place sarebbe solo una chat: che palle! Di servizi di IM la rete è piena, ma la caratteristica primitiva e non rivoluzionaria sta nell'integrazione col browser. Non è rivoluzionaria perché fonde due servizi (esistenti), ma è primitiva perché recepisce un bisogno latente. Mi spiego: i servizi precedenti di IM nascono con lo scopo di fornire messaggi istantanei; è la chat il servizio fornito. Chi nella fase web 1.0 chatta lo fa come attività pressoché esclusiva.
Chi chatta oggi (o chi chatta nel web 2.0) non si accontenta di condividere la presenza in rete, vuole condividere un'esperienza. La chat diventa un'esperienza parallela a qualcos'altro (mail, lavoro, navigazione). L'integrazione cognitiva, è ovvio, stimola quella tecnica e di qui Gmail, meebo, e... Same Place.

Se non mi inganno allora (ma lo dovete dire voi) il vero salto di Same Place non è la chat, ma l'aver permesso di condividere uno stesso luogo con una piattaforma tecnologica che risponde ad un comportamento, di fatto già diffuso, ma non adeguatamente supportato. Non si tratta più di una visione parallela e contemporanea come quando si spedisce un link. Si tratta di condividere, appunto, un'esperienza. Ma l'essere social, non è una delle caratteristiche 2.0?
Signori della Corte: abbiamo un colpevole! Same Place è web 2.0.

E con questo che ci faccio? Con pazienza proveremo a rispondere la prox volta. Per chi vuole esserci. (scusate ma anche i blogger, a volte, lavorano)

Nekuia

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